“Inferno digitale” di Guillame Pitron è un libro da leggere. Aiuta a riflettere sulla non sostenibilità del digitale.
Ne condivido un passaggio, ma sarebbe da approfondire nella sua interezza perché non si ha presente l’impatto devastante dell’uso degli strumenti digitali non solo sulla nostra psiche e sulla democrazia, ma anche sull’ambiente.
“Quando ci facciamo un selfie sulla terrazza di un bar non stiamo consumando solo una bibita, stiamo producendo anche dei pixel che un filo di vetro porterà, in alcuni casi, fino a Virginia Beach. Questo significa letteralmente che ci duplichiamo senza sosta! Internet ci offre il dono dell’ubiquità, conferendo alle nostre azioni una consistenza fisica allo stesso tempo qui dove siamo e a migliaia di chilometri di distanza. In sintesi, con il pretesto di smaterializzare tutto, il digitale rende invece doppiamente materiale quello che facciamo.”
Il libro si chiude con alcune domande, nemmeno troppe retoriche.
“Da quali tecnologie dell’informazione vogliamo essere accompagnati verso il futuro? Fabbricate con quali processi e con quali materiali? Vogliamo una rete centrale costituita da pesanti infrastrutture che permettono dei risparmi energetici di scala o piuttosto ne vogliamo una diffusa, per rilocalizzare la trasmissione dei dati così fortemente energivora? La vogliamo neutra e non regolamentata o di parte, se non liberticida, in modo che autorizzi solo la produzione di dati giudicati essenziali? Dovrà essere a pagamento o gratuita? Daremo maggiore priorità alla sobrietà dei nostri usi, rispetto alle innovazioni realizzate per ottimizzare le prestazioni del digitale, o ci comporteremo diversamente?”
Da leggere.
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