Si è passati direttamente dalle bonifiche periodiche delle sale riunioni, alla ricerca di microspie, a call infinite su Zoom e simili senza porsi problemi.
Ma le sale riunioni virtuali da sempre sono strutturalmente insicure dal punto di vista della #privacy.
Adesso la questione è emersa anche al di fuori della cerchia dei tecnici della privacy: Zoom aveva modificato le condizioni d’uso (umanamente impensabile che le persone vadano a leggersele a ogni avviso di variazione) autorizzandosi in automatico a utilizzare i contenuti delle call per addestrare il modello di intelligenza artificiale.
Se già prima dai server di Zoom passavano informazioni aziendali anche estremamente sensibili nella quasi totale noncuranza degli utenti, adesso queste possono essere usate come dati da dare in pasto all’IA e lì, che fine faranno, non è più dato sapere. Potranno diventare la base per un suggerimento dato a un nostro concorrente che usa l’IA come supporto generativo sui nostri stessi argomenti, per esempio. O finire come spunto per un giornalista che vuole scrivere di un argomento tecnico ma non ne sa molto.
Zoom ha cercato di metterci una pezza, ma è riuscita male male male. Dice che adesso l’amministratore della riunione può scegliere se consentire l’uso del meeting come “cibo” per l’IA, ma lascia fuori dal consenso i partecipanti. Tenuto conto che non sempre chi avvia la call ha consapevolezza sui temi della privacy, non pare un grande risultato.
Cosa fare? Basta uscire da Zoom e migrare verso Teams o Meet? A naso, e a esperienza, non si fa una fine migliore.
Le riunioni cruciali, dove si parla di argomenti sensibili per il business, meglio farle in presenza, magari anche ricordandosi che una volta si faceva la buona vecchia bonifica ambientale. Perché se un tempo eravamo disposti a pagare per togliere i microfoni dalle sale riunioni, adesso paradossalmente paghiamo chi le fa passare sui propri server dal primo all’ultimo secondo, con la possibilità di accedere a tutte le informazioni, di elaborarle con algoritmi di analisi del linguaggio, e di tenerle anche memorizzate su server ubicati all’estero.
Una riflessione la farei…